Il Mattino, Sabato 10 febbraio 2000
Un successo al Diana
C'è una storia lunga dietro un testo teatrale come il "Cyrano de Bergerac"
e l'avvicendarsi delle sue rappresentazioni. Come sempre accade per
i classici. Edmond Rostand scrisse il "Cyrano" nel 1897, accogliendo
la richiesta di un celebre attore del suo tempo, Coquelin, che voleva
non tanto un testo quanto un personaggio che potesse offrire molte corde
alla sua misura di interprete. E Rostand con abilità profuse a piene
mani tutto quanto potesse essere teatro (e spettacolo): lo sfondo storico
alla maniera di un Hugo e un Dumas, la tragedia eroica e la comédie
giocosa e satirica della grande tradizione francese, lo spleen romantico
dell'amore infelice, l'avventura e la beffa dei momenti picareschi,
la recitazione in versi incatenati di facile presa, l'affollata coralità
delle figure di contorno. Assumendo a protagonista quel Savinien Cyrano
signore di Bergerac, poeta e spadaccino, letterato colto e bizzarro
veramente vissuto nel bel mezzo del '600, nella Francia di Richelieu.
Un plot a tutto campo per l'esercizio di attori e registi, per il teatro
e per il cinema (il José Ferrer anni '40 in bianconero, il recente Depardieu).
E, sulla scena italiana, la tradizione del buon Gino Cervi, l'avanguardia
di Valentino Orfeo, l'assorto Pino Micol per la regia di Scaparro, il
musical di Riccardo Pazzaglia per Modugno e la Spaak, le guasconate
di Proietti. Come mettere mano, ancora una volta, a tale materia? Ecco
ora la scelta di Giuseppe Patroni Griffi che ha affidato il suo "Cirano
di Bergerac", attualmente al Diana, ai mezzi espressivi di Sebastiano
Lo Monaco (già con lui in recite pirandelliane) e all'allestimento di
Aldo Terlizzi che ne ha inventato scene e costumi. Se il testo è per
tanti versi datato e indulge al mélo e al feuilleton, Patroni Griffi
ha voluto restarvi dentro e nel contempo prenderne le distanze. Ha voluto
puntare sullo spettacolo, e lo ha ottenuto animato ed elegante, attraversando
con citazioni anche ironiche e taglio moderno i diversi generi teatrali
che l'opera di Rostand propone. Intanto ha conservato la traduzione
italiana che subito ne fece, già nel 1898, Mario Giobbe, con quelle
rime baciate che da sempre suonano facili e avvincenti nella memoria
di chi si è accostato al "Cyrano" o ne ha gustato l'irruenza e la dolcezza
nel ricalco sentimentale di cui si è impadronito finanche la pubblicità.
E dunque, il bacio "apostrofo rosa tra le parole t'amo" e le leggendarie
variazioni sul tema del naso e le tirate che accompagnano le stoccate
dei duelli e le tenzoni amorose. Quell'inventato mondo seicentesco di
avventure di cappa e spada, i cappelli piumati dei cadetti di Guascogna,
i gentiluomini e le dame "preziose", le lettere appassionate e le parole
alate che Cyrano dedica all'amata Rossana (statuaria Marina Biondi),
schermando la verità e la sofferenza della sua bruttezza dietro la bellezza
dell'incapace Cristiano (Robert Madison), sono riportati da Patroni
Griffi a uno scoperto gioco di teatro che diviene finanche vaudeville
in un'aura da belle époque, coeva a Rostand, con le musiche di Strauss
e Lehàr. E con l'eleganza delle scene di Terlizzi, alti velari che ne
definiscono di volta in volta l'ambientazione: il teatro barocco, la
rosticceria del cuoco-poeta Ragueneau (Fabio Rusca), il balcone fiorito
di Rossana, il campo di guerra dell'assedio di Arras, l'autunnale convento
del finale. Sebastiano Lo Monaco asseconda la regia e nei diversi registri
spinge al buffonesco la sua dialettica beffarda, scende in sala per
l'invettiva contro la viltà cortigiana, illuso nella sua pena segreta,
estroso come un comico dell'arte nel suo omaggio alla luna, di grande
dignità nel suo ultimo duello con la morte. Un diluvio di applausi.
Franco De Ciuceis
Corriere della Sera, Sabato 9 dicembre
1999
Cyrano di Patroni Griffi - Il grande equilibrio di un capolavoro
kitsch
Alberto Savinio, definendo lo stile di Edmond Rostand, parla di "pompierismo"
fertile, adorno, grazioso, arricciato, buccolato; un "pompierismo" di
gusto, di trovate, di battute spiritose, di galanteria, insomma un "pompierismo"
geniale. Per poi sostenere con acuta ironia che uno degli insegnamenti
che lo scrittore impartisce con l'uso della rima nel "Cyrano de Bergerac"
è che la musicalità riesce ad ammantare d'eleganza e di dignità le "sciocchezze"
più smaccate che in prosa sarebbero insopportabili, portando come esempio
le battute finali dell'eroe morente "...C'è qualcosa /ch'io porto meco...a
Dio,/...il pennacchio mio". E come non condividere anche l'opinione
di Giovanni Raboni, che definisce l'opera un "capolavoro di kitsch e
di ruffianeria"? E questa celeberrima commedia eroicomica tiene le scene
con fiero successo da poco più di cent'anni, col suo ben riuscito miscuglio
di "pompier" e vitalistico che si inzuppano in un romanticismo libertario
alla Hugo, di eroismo alla Corneille che si svilisce in uno smargiasso,
roboante spirito guascone, di slanci utopici che si smorzano in un misticismo
semplicistico, di sfoggio retorico che sfocia in un lirismo facile e
fiorito. Cyrano poi è un personaggio di straordinaria simpatia, coraggioso,
e sdegnoso, infelice per la sua bruttezza, intelligente, colto, sognatore
che ha scoperto che l'amore va reinventato ogni giorno, nutrito, ornato,
viziato, se necessario, fino alla lusinga. Utilizzando opportunamente
la bella e "classica" traduzione in versi martelliani di Mario Giobbe
(1898), quasi coeva all'opera, il regista Giuseppe Patroni Griffi propone
una messincena del "Cyrano" che giustamente e con gusto resta nell'ambito
della tradizione, con le sue belle scene dipinte, sipari che si intrecciano
in un gioco di teatro nel teatro, i costumi preziosi e sgargianti (entrambi
firmati da Aldo Terlizzi), i clangori dei duelli, i fumi dei campi di
battaglia, l'aura romantica dei duetti d'amore, il patetismo autunnale
del finale cui si aggiunge una sorta di assunzione in cielo, nel cielo
del Teatro, del protagosnista. Cyrano è un trascinante Sebastiano Lo
Monaco che con intelligenza recitativa trova un giusto equilibrio tra
spavalderia e sofferenza, tingendo di verità da Misantropo molièriano
la tirata sulla libertà pagata a duro prezzo, giocando con tratti da
maschera della Commedia dell'Arte su quella ben famosa delle 20 varianti
con le quali poter descrivere il suo naso, e dando sfumature di romantica
verità a quella altrettanto nota delle 8 varianti della definizione
di un bacio. Accanto a lui la Rossana dolce "preziosa ridicola" e vedova
sconsolata della brava Marina Biondi, l'amico fidato Le Bret del misurato
Claudio Mazzenga, il bello ma ottuso, come da copione, Cristiano di
Robert Madison e una nutritissima compagnia di giovani e generosi attori
che ha raccolto un caloroso successo.
Magda Poli
La Stampa, Domenica 15 Agosto 1999
Così Patroni Griffi si abbandona a Cyrano
Accusato di scarsa personalità l'Ottocento rimane il secolo che ha reinventato
tutti quelli precedenti, in maniera ancora oggi impossibile da ignorare.
Chi riesce a visitare con la fantasia il Medioevo senza passare per
Walter Scott, il Settecento veneziano prescindendo dal ricordo della
Fenice, o la Parigi del Re Sole trascurando Dumas père e Edmond Rostand
? Questo signore dai colletti duri e dai baffoni a tricheco, in particolare,
concentrò in un unica pièce tutto quello che crediamo di sapere su poeti
spadaccini, preziose che esigono di essere corteggiate a forza di invenzioni
letterarie, libelli, guasconate, intrighi di corte, recuperando inoltre
un autore minore e facendone un mito che anticipa persino Freud. Sfigurato
da un enorme naso, simbolo fallico elementare, Cyrano sfoga infatti
i suoi complessi con una devastante aggressività; e non avendo il coraggio
di dichiararsi in prima persona, ama per procura, suggerendo al bell'ebete
Cristiano le parole giuste per infiammare la "bas bleue" Rossana, e
arrivando fino a doppiarlo, ossia a prestargli la propria voce, in una
brillante rivisitazione della scena del balcone di "Romeo e Giulietta".
In quattro atti, "Cyrano de Bergerac" ha tutto: il teatro nel teatro,
con exploit del protagonista che infilza un presuntuoso mentre compone
a braccio una ballata; la presentazione dei fieri Cadetti, goliardici
ammazzasette "qui font cocus tous les jaloux"; l'amore, la guerra e
la morte del giovane Cristiano nel momento sbagliato (Cyrano ha appena
appreso che Rossana potrebbe amare lui, ma così non può approfittarne);
la rivelazione finale, con morte di Cyrano vecchio ma mai domo. A rendere
questo trionfo del Kitsch irresistibile anche nella nostra lingua c'è
poi, episodio più unico che raro, la traduzione coeva di Mario Giobbe,
in martelliani che riproducono validamente l'alessandrino francese ("je
vous previens, mon Mimidon - qu'à la fin del l'envoi je touche" diventa,
cito a memoria, "io vi prevengo caro paladino - che alla fin della licenza
io tocco"). Davanti a un siffatto monumento popolare sono possibili
solo tre atteggiamenti, ignorarlo, cercare di rivisitarlo criticamente,
abbandonarvisi. A quest'ultimo partito, quello vincente, si è rivolta
la regia di Giuseppe Patroni Griffi nell'edizione estiva partita dalla
Versilia di Marina di Pietrasanta in attesa di una tournée invernale:
senza cioè lesinare nello spettacolo e al contempo facendo sentire i
versi. Aldo Terlizzi ha escogitato una scenografia in giusto equilibrio
fra essenzialità moderna e giocosità d'epoca, ossia con fondali neutri,
ma poi con cannoni, carri di vettovaglie, secondo palcoscenico; e nei
molti costumi, forse cento, è stato colorito e in carattere, sia pure
senza rinunciare a qualche tocco ironico, come un abito da sera bianco
e trasparente alla Jean Harlow che pur valorizzando le lunghe gambe
di Marina Biondi stona un po' con l'affettuosa rivisitazione dell'impianto
generale. Svelti i comprimari fra cui Robert Madison, Claudio Mazzenga,
Daniele Pecci, Fabio Rusca; e solida prestazione del superprotagonista
Sebastiano Lo Monaco, convincente anche con la spada in pugno. Tre ore
con un intervallo, e pubblico, naturalmente, deliziato.
Masolino d'Amico
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